Giovedì 8 novembre Hu Jintao ha inaugurato il XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese, di fronte a 2.270 delegati provenienti da ogni regione del paese. Il ritardo nell’inizio dei lavori, dovuto presumibilmente alle manovre nell’ombra e alla faccenda che ha visto l’epurazione a sorpresa di Bo Xilai dal Politburo, ha di fatto generato una curiosa concomitanza tra la transizione epocale di potere in Cina e le elezioni in USA con la loro vigilia di incertezza.
Come evidenzia un’intuitiva infografica animata del Guardian la Cina arriva all’atteso conclave del PCC dopo un decennio di sviluppo inarrestabile: il PIL è quintuplicato, gli investimenti diretti esteri in uscita sono quadruplicati arrivando alla cifra record di 21,4 miliardi di dollari USA, la popolazione urbana è salita di 12 punti percentuali e gli utenti internet sono un oceano di mezzo miliardo di persone.
Hu Jintao ha delineato gli obiettivi della strategia cinese nell’immediato futuro: raddoppiare il PIL ed il reddito medio entro il 2020 (assicurando anche la copertura sanitaria alla totalità della popolazione), assicurare una riforma interna in grado di contenere la corruzione e mantenere la centralità ed il dominio del partito unico.
I lavori aprono una transizione di potere epocale: resteranno in carica solo il futuro Segretario del Pcc e presidente della Repubblica, Xi Jinping, ed il candidato premier, Li Keqiang. Il Comitato Centrale (320 membri) sarà rinnovato per metà; il Politburo, l’organo che esercita il controllo su ogni atto legislativo, esecutivo ed amministrativo, sarà rinnovato quasi completamente insieme al proprio Comitato Permanente [v. schema illustrativo in calce].
I commenti della stampa internazionale illustrano i delicati e complessi equilibri di potere [The Economist, Age Before Beauty], e le conseguenze per le autorità presenti e future soprattutto in termini di legittimità [The Guardian, China looks to usher in the new generation of Communist leaders]. Ma lo scontro sotterraneo è già divampato tra la cosiddetta cricca di Shanghai che raccoglie i neomaoisti attorno all’ex presidente Jiang Zemin, e le correnti liberal cinesi (considerate tali nel contesto locale) che hanno trovato illustri ispiratori nel presidente e nel premier uscenti (Hu Jintao e Wen Jabao). Sembra condiviso tra gli osservatori che Li Keqiang e gli altri personaggi di spicco che dovrebbero succedere alla leadership uscente, rappresentino un compromesso ottimale tra le due anime politiche del Partito.
Gli esiti del Congresso potranno delineare dunque la fisionomia politica della nuova Cina, trascinando in un’inedita arena le nuove priorità (il Go West programme, l’affrancamento dalla dipendenza da export, il ruolo geopolitico e le relazioni internazionali, il modello Guangdong e quello Chongqing).
Se siete rimasti svegli per la nottata elettorale USA, l’attenzione alla transizione cinese val bene un’insonnia famelica!