Europa ed e-commerce, tempo di riflessioni?

Immancabile anche quest’anno il Netcomm Forum 2019 dedicato all’e-commerce con un respiro europeo e internazionale. Oltre ai big player Google, Amazon, Alibaba, e molti altri presenti anche tutte le imprese grandi, medie e piccole che animano l’Italia digitale. Tra le riflessioni interessanti, metabolizzando la due giorni milanese, possiamo trarre alcuni preziosi insight che puntano soprattutto ad una maggiore integrazione europea sui temi digitali e ad un progresso (auspicato) delle vendite online in Italia, ancora troppo ferma al palo quando si parla di PMI e di imprese di prodotto che ancora faticano a colmare un annoso gap tra offerta poco evoluta e domanda in piena accelerazione digitale.

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Home made picture della plenaria. Interessante vedere come ci sia una correlazione tra le competenze digitali ed il livello di evoluzione dell’e-commerce

Tra i dati messi in evidenza nelle sessioni plenarie non stupisce di certo vedere confermata la frenetica progressione verso il retail omnichannel che supera la tradizionale distinzione tra commercio online e offline. In un mondo in cui il cliente entra in contatto con il brand attraverso un numero sempre più elevato di touchpoint che spaziano dall’esperienza in negozio ai contatti online con gli asset digitali dell’impresa, non è pensabile approcciare un rapporto complesso di questo tipo separando in silos impermeabili i vari brandelli dell’esperienza del cliente. Una conferma anche negli investimenti dei big che puntano moltissimo nell’utilizzare l’AI e tecnologie affini per migliorare il servizio ad un cliente esigente, poliedrico e omnichannel, e trasformano i propri punti vendita fisici in una esperienza super tecnologica piena di magic mirror nei camerini in grado di profilare, conoscere, suggerire, osare.

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Projects Muze (Zalando) un’interessante applicazione dell’intelligenza artificiale al retail nel settore moda

Un marketing evoluto che arriva anche “a monte” dell’esperienza produttiva, arrivando in alcuni casi (v. Tommy Hilfiger citata proprio durante l’evento) che utilizza i big data acquisiti nel rapporto con la clientela per armonizzarli con i trend al consumo del settore per inviare suggestioni evolute ai propri designer, non più rinchiusi in una torre d’avorio oppure abbandonati alla propria individuale sensibilità artistica e progettuale, ma proiettati in un esteso intervallo di possibilità offerte da una tecnologia all’avanguardia.

Dal lato italiano non stupisce un ritardo evidente che ha ripercussioni strutturali sul paese: il ritardo nell’e-commerce è sempre più affiancato ad un ritardo digitale rispetto ai competitor europei, in cui è evidente la correlazione tra le scarse competenze digitali e l’ecommerce delle PMI decisamente in coda all’Europa a 28 paesi, e comprime l’export online italiano (e le vendite domestiche) in una fisionomia di mercato dominata dagli intermediari: i grandi marketplace e i retailer digitali, mentre anche i brand più strutturati finiscono per affidare in una sorta di outsourcing completo uno degli aspetti più sensibili del proprio business.

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Un esempio di retail digitale da Tommy Hilfiger

Una delle controprove che possiamo definire più illuminanti è il fatto che il consumatore italiano schizza in cima alla classifica degli acquisti online quando si tratta di crossborder e-commerce (dall’estero) in ingresso in Italia, una testimonianza neanche troppo celata della mancata evoluzione dell’offerta domestica. Anche se si tratta di una anticipazione delle tendenze europee e globali: entro il 2022 infatti un quarto degli shopper comprerà all’estero pertanto la partita competitiva è quella tra i marketplace che hanno compreso la posta in gioco e sono attivi nel qualificare ulteriormente la propria offerta e nell’intervenire con soluzioni per il cross border che siano specifiche o native. Tra l’altro le categorie che vanno per la maggiore sono proprio quelle delle 3F (food, furniture, fashion) del made in Italy.

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Il negozio fisico diventa un touchpoint molto importante nel nuovo retail: schermi offline to online, commessi che diventano consulenti e personal shopper, esperienze evolute al passo con i nuovi consumatori millennial e generation Z

In ambito europeo è necessaria una riflessione: innanzitutto su una tassazione omogenea delle aziende digitali, per impedire concorrenza multilivello o squilibrata tra diversi paesi membri, oltre ad una maggiore formazione d’impresa su quanto avverrà a settembre con l’entrata in vigore della strong customer authentication, che farà senz’altro sentire i suoi effetti sui tassi di conversione commerciale degli acquisti online in Italia ed Europa.

Ma la sfida maggiore per l’Europa e l’Italia è quella di combattere da un lato l’emergenza digitale di alcuni paesi più indietro nell’indice DESI (che inquadra molto bene la maturità dei paesi membri in questo campo), dall’altro di garantire un supporto efficace alle PMI che competono nell’arena globale sui canali e-commerce, prima che si rimanga fuori dalla partita, senza neanche un minimo di spazio di crescita per le sfide tecnologiche del futuro: intelligenza artificiale, big data, new retail.

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Interessante il progetto di Patrizia Pepe e VAR Group che stanno evolvendo le proprie boutique fisiche in avveniristici punti vendita O2O (offline to online) perfettamente integrati

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