Brexit: una partita ancora lunga

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Theresa May

Quando la febbre del referendum è ormai passata, la stampa internazionale ha cominciato a delineare i vari scenari post-Brexit dibattendo tra modello Norvegese, Svizzero o altre alternative ad hoc. Ad oggi Theresa May è pressata da tutti gli osservatori sul dilemma inestricabile della hard Brexit contro una soft Brexit.

Nel modello hard il Regno Unito abbandonerebbe l’Unione Europea e tutti i trattati e le istituzioni europee di cui è attualmente parte attiva, rinunciando quindi al Consiglio dell’Unione Europea, alla presenza in Parlamento e alla giurisdizione della Corte Europea di Giustizia. Nel pacchetto viene anche l’interruzione immediata della libera circolazione dei cittadini e la totale autonomia nel decidere come gestire i propri confini nazionali. Il problema, però, è che una soluzione così drastica comporterebbe anche l’uscita immediata dal mercato unico ed un impatto negativo per l’economia britannica dovuto al ripristinarsi immediato di barriere commerciali e doganali che oggi non esistono.

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What a bloody joke…

Un modello Norvegese o Svizzero, invece, potrebbero far parte del paniere soft Brexit in cui il Regno Unito abbandona l’Unione pur rimanendo nel mercato unico. Benefici per le aziende britanniche che dovrebbero però accompagnarsi alla libera circolazione delle persone, avversata come fumo negli occhi dai sostenitori del leave sin dalla prima ora, oltre a diverse altre regole UE molto stringenti su commercio et similia.

Qualcuno ha azzardato anche la possibilità di negoziare una mild Brexit ma appare un pallido tentativo poco pragmatico di chiedere l’accesso al mercato unico senza però accettarne le conseguenze dal punto di vista della circolazione delle persone e dell’accettazione delle altre regole comuni ai paesi europei più Norvegia e Svizzera.

Philips Stephens ed il Financial Times intanto entrano a gamba tesa nella questione proprio mentre Theresa May attende di prendere parte al suo primo summit europeo a Bruxelles in veste di primo ministro del Regno Unito. Secondo il quotidiano economico il Regno Unito avrà un contraccolpo molto negativo in termini di ricchezza economica dopo la Brexit, proprio mentre la svalutazione della sterlina agisce come un “meccanismo di trasmissione nel ridurre il tenore di vita. Quanto sarà più povera la Gran Bretagna dipenderà in larga parte dalla qualità della relazione con i maggiori partner commerciali e come riuscirà a compensare la perdita dei vantaggi derivanti dalla presenza nell’Unione con una maggiore attrattività per altri attori [commerciali o nei movimenti internazionali di capitale ed investimenti diretti NdT]”.

Theresa May debutta dunque a Bruxelles con un forte pressing interno sia nel paese che nel partito. Non mancano anche le forti pressioni dei colleghi europei che chiedono a gran voce maggiore chiarezza sulla direzione che il Regno Unito intende prendere. Eppure, secondo il FT, saranno delusi dall’assenza di un piano cristallino, che lascia spazio ad una serie di “impulsi inconsistenti ed una lotta di potere nel governo tra zelanti anti UE e politici pragmatici dal punto di vista economico”.

Il made in Italy intanto osserva con attenzione: secondo Businesspeople il valore delle merci che esportiamo in Gran Bretagna potrebbe ridursi nel 2017 di una cifra compresa tra il 3% ed il 7% per una forbice in valore di € 600 mln – € 1,7 mld nel quarto mercato di destinazione delle vendite estere italiane. Un impatto pesante sull’export tricolore, che negli ultimi anni aveva registrato trend di crescita interessanti, come vediamo nel grafico.

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Export italiano e composizione merceologica (fonte: SACE)

La partita è ancora lunga, ed il caos nella panchina britannica non lascia presagire nulla di incoraggiante per i molti (interessati) spettatori.

[Header photo by Joshua K. Jackson via Unsplash]

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Boris Johnson…ha colpito ed è svanito.

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