Tremano ancora le fondamenta dei mercati finanziari e delle stanze del potere nei paesi membri dell’Unione Europea dopo il voto del referendum sulla Brexit che ha sconvolto la Gran Bretagna e gli osservatori internazionali. Nel frattempo la politica britannica affronta un terremoto senza precedenti: Cameron si è dimesso, e si avvia a decadere del tutto dalla posizione di premier a settembre, mentre i maggiori partiti britannici vedono lotte furibonde per la leadership presente e futura. Nigel Farage ed UKIP colgono i frutti della loro campagna anti-europea per mettere fieno in cascina in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, alternando gaffe vergognose ed indegne a festeggiamenti fuori dalle righe.

Nigel Farage – leader dell’UKIP
La Scozia ne approfitta per un braccio di ferro serrato con Westminster minacciando la non ratifica del risultato del referendum che, seppur tecnicamente difficile dato che Londra ha competenza prioritaria sulla politica estera, rilancia di fatto la battaglia per un nuovo referendum indipendentista dato che la maggioranza dei cittadini scozzesi ha votato per l’opzione remain e che molta parte del loro business ruota attorno a turismo e scotch whisky che sarebbero pesantemente colpiti da una fuoriuscita maldestra dall’Unione Europea.
L’Europa, dal canto suo, attende una notifica formale da parte delle autorità governative britanniche in base all’articolo 50 del Trattato di Lisbona: il referendum è puramente consultivo pertanto la vera partita è iniziata all’indomani del voto, e riguarda i negoziati tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna per ridefinire integralmente i rapporti legali, commerciali, doganali e relativi a tutti gli aspetti di relazione tra i paesi. Le posizioni sono differenti in Europa: c’è chi chiede durezza (come la Francia) allo scopo di dissuadere altri governi da percorrere la difficile e tortuosa strada del divorzio dall’UE, è c’è chi invece (Germania, Italia e altri) attende un atteggiamento britannico meglio definito per approdare ad un modello di rapporto il più indolore possibile anche per salvaguardare i forti interessi commerciali. Basta uno sguardo veloce alla bilancia commerciale tedesca per rendersi conto della situazione.
L’infografica di Bonelli Erede offre un quadro interessante (e simpatico) della situazione: una delle alternative è la fax democracy del modello norvegese. In questo scenario il Regno Unito abbandona la UE ed entra a far parte della European Economic Area mantenendo quindi l’accesso al mercato unico europeo (ad esclusione di alcune attività finanziarie) ma non sarebbe soggetto alla regolamentazione europea in tema di giustizia, politica estera, agricoltura e pesca. Alternative al modello norvegese sono sostanzialmente il modello Svizzero, che prevede la negoziazione di trattati commerciali singoli per ogni settore specifico (decisamente difficile e tortuoso), oppure un modello alla turca con la unione doganale con l’UE che consentirebbe l’accesso libero al mercato dei beni, escludendo però aspetti importanti come la circolazione delle persone e le libere attività finanziarie.

L’infografica di Bonelli Erede offre un quadro della situazione…piuttosto ingarbugliata!
Una diversa soluzione, nel solco del modello svizzero, potrebbe invece portare ad un free trade agreement con l’UE che abbia un focus forte sui servizi finanziari e garantisca la necessaria discrezione su standard e regolamentazioni da cui il Regno Unito vuole svincolarsi nel suo interesse. In un worst case scenario invece, potrebbe esserci una separazione definitiva, con la relazione commerciale basata interamente sul quadro del WTO, ma si tratta di una delle opzioni che hanno collezionato previsioni economiche fortemente negative anche in termini di PIL della Gran Bretagna.
Il voto ha aperto le danze, gran parte del futuro dell’Unione Europea e della Gran Bretagna si giocano nelle prossime settimane.

Il porto di Liverpool: sugli equilibri commerciali dopo la Brexit si gioca gran parte del futuro dell’Europa e del Regno Unito