Tesla Motors, la startup che ha rivoluzionato l’industria automotive internazionale con auto elettriche luxury ad altissime prestazioni, ha appena pubblicato i propri risultati trimestrali confermando le previsioni di Wall Street e rilanciando con una previsione ancora più ottimistica e aggressiva sulle vendite del prossimo modello in arrivo: il Tesla Model 3. Il quadro generale vede l’azienda registrare un +45% sulle vendite rispetto all’anno precedente, anche se non sono mancate perplessità di osservatori ed investitori sulla possibile saturazione del mercato, smentite dall’azienda che prevede una domanda in crescita per il prossimo modello, e conferma l’appeal mainstream dei propri prodotti. Nel frattempo l’azienda risponde alla perdita di capitale continua incrementando la produzione e gli investimenti, con l’obiettivo di raggiungere e consolidare le economie di scala derivanti e consentire di mantenere alti i risultati in termini di innovazione tecnologica e raggiungere l’obiettivo audace di mezzo milione di auto vendute ogni anno fissato da Elon Musk, CEO dell’azienda, per il 2018. Un esempio su tutti è la costruzione dell’immensa Gigafactory, uno stabilimento produttivo nel deserto del Nevada (tra gli edifici più grandi al mondo) per la produzione di battery pack all’avanguardia. Una enorme fabbrica di super-accumulatori destinata a ridurre, secondo le previsioni di Musk, di oltre il 30% il costo delle batterie per la Tesla, ma che avrà bisogno di un’ottima accoglienza del mercato internazionale per ammortizzare un investimento così audace.

Le aziende fondate da Elon Musk, l’imprenditore sudafricano che ha fondato PayPal e Zip2 reinvestendo tutta la sua fortuna in ambizioni progetti su aerospazio, automobili elettriche premium, ed energie rinnovabili
Molti si interrogano nel frattempo sull’inusuale, se non unico, assetto societario delle tre grandi startup del geniale imprenditore sudafricano: Tesla, Solar City (per la produzione di energia rinnovabile) e SpaceX (primo produttore privato nel settore aerospaziale ad aver inviato un razzo presso la Stazione Spaziale Internazionale). Le tre aziende funzionano in pratica come uno dei grandi gruppi giapponesi, o keiretsu, che in cui l’interdipendenza tra le aziende non ha eguali nel resto del mondo, e soprattutto negli USA.

Le vendite di Tesla Motors negli ultimi sei dati trimestrali. Aldilà del calo all’inizio del 2016, e della preoccupazione di alcuni osservatori circa la ricettività del mercato, Elon Musk ha fissato l’obiettivo a mezzo milione di macchine vendute ogni anno a partire dal 2018. Ci sono due anni per realizzare una crescita impressionante e colmare un gap di oltre 400.000 veicoli l’anno rispetto al dato medio attuale. Non male come ambizione.
In pratica Musk ha mantenuto dei collegamenti vitali tra le tre aziende. Tesla e SolarCity sono aziende manifatturiere per cui il raggiungimento delle economie di scala è un obiettivo vitale. Aumentare i volumi di produzione e di vendita consente infatti di aumentare il potere contrattuale sui fornitori di materie prime, capitale e risorse umane, ridurre il costo unitario di produzione, coprire investimenti importanti sulla tecnologia e l’innovazione. SolarCity ad esempio ha bisogno di flussi di cassa enormi ed immediati, per via delle spese importanti nella fabbricazione, distribuzione e installazione dei sistemi a pannelli solari venduti in leasing a privati ed industrie, con dei tempi di ritorno dei canoni di leasing che non sono certo immediati. Negli anni SolarCity ha quindi utilizzato risorse finanziarie di soggetti che tradizionalmente possono permettersi di immobilizzare forti capitali nel medio-lungo periodo come banche, investitori istituzionali, ma anche e soprattutto SpaceX. La startup aerospaziale ha infatti un modello di business opposto: è in grado di fare cassa immediatamente vendendo a clienti governativi (come l’amministrazione USA) e privati con forti possibilità finanziarie, lo spazio di carico sui lanci futuri dei propri razzi cargo (e passeggeri nell’immediato futuro). I forti afflussi di capitale nel breve termine possono quindi essere immobilizzati come fanno gran parte delle aziende: con investimenti di breve-medio periodo ad altissima sicurezza come i buoni del tesoro USA. Eppure SpaceX ha impiegato oltre 165 milioni di dollari per acquistare obbligazioni di SolarCity basati sui canoni di leasing dei propri prodotti, garantendo il finanziamento dell’azienda “sorella” ed un rendimento molto più elevato nell’ordine del 4,4% annuo. Sembra un accordo win win dato che SpaceX ottiene un rendimento senza eguali rispetto ad altre obbligazioni o bond governativi, mentre Solarcity ottiene capitale a condizioni tutto sommato molto favorevoli.
Nel frattempo SolarCity sta ampliando il proprio business sia nel segmento wholesale e governativo che in quello residenziale privato e, a livello di fornitura, ha un crescente bisogno di acquistare batterie ad alte prestazioni che facciano da buffer di energia. I pannelli solari infatti producono energia nella parte diurna della giornata mentre la domanda è spalmata sulle 24 ore ed ha dei picchi la mattina e durante la sera. Quindi i battery pack accumulano l’energia prodotta per restituirla alla rete in base alla domanda effettiva, senza dispersione del potenziale energetico dell’impianto. Ovviamente gli acquisti di batterie di SolarCity sono orientati verso Tesla Motors. Anche qui abbiamo un accordo win win: Tesla ha garantito un cliente al di fuori del settore automotive che le consente di mantenere alta la domanda (per crescere e raggiungere le economie di scala) mentre SolarCity ottiene un prodotto di qualità ad un prezzo interessante.
Colpo di genio? Diciamo che finchè tutto procede a gonfie vele, il vantaggio è diffuso e non ci sono perdenti nelle transazioni attraverso il Musk-universo. Eppure emergono quesiti importanti. Intanto è difficile identificare con precisione, in un’economia dove l’ultima parola dovrebbe essere in mano agli azionisti, chi ottiene i vantaggi maggiori da queste transazioni “interne”. Slate ad esempio si chiede: <<cosa succederebbe se ci fosse un incremento sensibile nella domanda di battery pack ed emergesse un’altra azienda di pannelli solari disposta a pagare un prezzo maggiore di SolarCity per i prodotti della Tesla Gigafactory? Avrebbe molto più senso per quest’ultima vendere al miglior offerente, ma la decisione causerebbe non pochi problemi all’azienda “sorella”>>. Inoltre l’interdipendenza può aumentare l’effetto contagio tra le imprese: qualora vi fosse un qualsiasi problema o ritardo nella produzione di Tesla Gigafactory, ad esempio, le conseguenze sarebbero pesanti per il cliente SolarCity che potrebbe, in caso di difficoltà, generare una sofferenza non di poco conto sui bond acquistati dalla SpaceX.
Per ora i fatti, come spesso accade negli ultimi anni, danno ragione ad Elon Musk e alla sua visionaria gestione imprenditoriale.

Per avere un’idea delle enormi dimensioni della Tesla Gigafactory, considerate che copre un’area similare alla fabbrica della Boeing, una delle più estese esistenti al mondo