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Una settimana fa l’articolo del Financial Times sul livello record di disoccupazione giovanile in Italia, ha avuto una debole eco sui quotidiani nazionali nonostante le autorevoli opinioni del prof. Boeri e del prof. Piga con le loro proposte, critiche e posizioni coraggiose.
A seguito di altri approfondimenti internazionali come la prima pagina del New York Times di qualche tempo fa, l’articolo va a toccare un nervo scoperto della debilitata economia italiana, celato dal silenzio assordante nel dibattito sul lavoro e la riforma Fornero.
Seppur molti condividano la necessità imperativa di reagire con la crescita alle massicce dosi di austerity propinate dal governo tecnico nei mesi scorsi, per evitare che la cura uccida il malato, si evita di individuare un piano di sviluppo che abbia il coraggio di investire su uno dei fattori cruciali per l’efficienza economica moderna: le risorse umane.
Si è giunti alla creazione di un nuovo meccanismo di sussidio/ammortizzatore sociale (l’ASPI) privo di politiche attive annesse e a totale carico dell’impresa, ripiegando su proposte decisamente fuorvianti come l’aumento della contribuzione per i lavoratori a tempo determinato celati sotto forme di lavoro autonomo.
Si avverte una protervia preoccupante nel voler tralasciare le conseguenze dell’interruzione generazionale provocata dalla disoccupazione che, a detta del prof. Piga, rischia di incidere negativamente addirittura sul valore del PIL futuro, se si intende trascurarne le conseguenze sociali e professionali.
Il coraggio di investire sulle risorse umane, comporta la possibilità per le PMI italiane, soffocate dal credit crunch, dalla pressione fiscale, e dalla crisi generalizzata, di far conto su un bacino di giovani professionalità che non siano appiattite dal precariato diffuso. L’alternativa al precariato non è il posto fisso, bensì la possibilità di crescere nelle esperienze diversificate e di vedere le imprese investire sulla formazione delle risorse giovani, beneficiandone in termini di efficienza, professionalità e rilevanti vantaggi oggettivi.
I decisori politici devono intervenire uscendo da logiche ideologiche, e sterili discorsi massimalisti, intervenendo su ostacoli all’impiego immediati come l’abnorme cuneo fiscale e previdenziale. E’ vero che una strategia a medio termine deve prevedere l’intervento sulla congestione formativa delle università, sull’assenza di politiche attive per il lavoro e l’outplacement, sulla disparità di diritti/doveri tra neo-assunti e lavoratori consolidati, ma nel frattempo, in totale emergenza, si può agire sulle leve più immediate. Un lavoratore a tempo determinato, nella gestione separata INPS, deve corrispondere circa il 28% del proprio reddito lordo per una pensione che, probabilmente, vedrà fortemente ridiscussa rispetto ai canoni attuali. A ciò sommiamo il cuneo fiscale superiore al 20% e otteniamo il primo scoglio che accomuna la grande multinazionale alla più atomizzata impresa artigiana: spendere 200 per poter dare 100 al lavoratore.
Si agisca sulle leve immediate, mentre per il medio termine si concepisce un New Deal che abbracci tutte le altre aree di intervento, contemplando magari anche il servizio civile (National Youth Programme) suggerito dal prof. Piga o altre coraggiose e strutturate misure.
L’alternativa è il precipizio di una generazione saltata, un danno economico immediato e reale, un deficit di professionalità che pregiudica la competitività di un paese votato all’export e all’arena globale. Il coraggio di investire passa dal supporto immediato alle imprese, alle risorse umane, ai nervi scoperti dell’economia reale.
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